Gujarat, nord ovest dell’India, non è meta da turisti. Non se ne incontrano in queste zone e questa è ancora un’India solo per indiani.
Sulla strada che porta a Bhavnagar. Tra campi ordinati coltivati a cotone, sorgono una moltitudine di piccole fabbriche dove si lavora l’Acciaio. Piccole anticamere dell’inferno dove bambini già uomini e uomini senza età incrociano i loro destini consumando le loro vite fatte di interminabili giornate di lavoro, pasti frugali e dormitori rimediati in un inferno anticipato.
Qui si lavora per 10-11 ore al giorno e 7 giorni a settimana per paghe modeste ma questo basta o deve bastare a chi è qui.
Da 300 a 500 rupie al giorno, giusto pochi euro, questo è il valore delle vite di questi uomini che vengono misuratecome in una graduazione della sofferenza.
Nel fragore del metallo che si spezza vivono gli uomini alle presse, chi poi passa i giorni confuso tra i fumi dando le barre d’acciaio in pasto ai forni come a bestie infernali e insaziabili. Chi, poco più in la, con un calore che brucia la pelle e toglie il fiato, cava il ferro incandescente protetto da umili panni di cotone e miseri occhiali da sole.
Alle trafile uomini col turbante, abili incantatori di serpenti di fuoco si muovono in sincronia mentre un po’ più in là si piega il ferro ancora caldo e si salda e si taglia.
In fondo a questa scala ci sono poi gli uomini da soma che conoscono solo la fatica, quelli il cui lavoro vale meno e nei cui sguardi spenti si legge tutta la durezza di questa vita.
A ognuno il suo, ma tutti loro sono uomini a perdere, con la polvere d’acciaio che entra nei polmoni e che si mischia con il sudore della pelle facendoli diventare come veri e propri uomini neri.